Non tutti quelli che vagano sono senza meta

Con la riapertura delle sale cinematografiche la nostra rubrica “Donne sul grande schermo” rispolvera la pellicola della celebre professoressa Katherine Watson e il sorriso evergreen della Monna Lisa, quale monito a considerare la libertà di scelta l’unica direttrice della propria vita. Perché «non tutti quelli che vagano sono senza meta, soprattutto non coloro che cercano la verità, oltre la tradizione, oltre la definizione, oltre l’apparenza».

 

«Ognuno ‘e nuie nasce cu nu destino» e spesso quello delle donne si esaurisce nel dover essere amorevoli madri e fedeli mogli. In un orizzonte di vita che si appiattisce sulla linea di ciò che la società impone al ruolo femminile, tra pregiudizi e stereotipi di genere che ancora oggi faticano ad essere scalfiti.

Non ultima la recente vicenda dell’attrice Aurora Leone, oggetto di frasi sessiste e discriminatorie nell’ambito della Partita del Cuore: “Sei donna, non puoi stare qui. Le donne non giocano”. Ma chi decide cosa può o non può fare una donna? Chi definisce i confini entro cui può dispiegarsi la personalità di un individuo?

Spesso sono i modelli uomo-donna che ci portiamo dentro, mutuati dalla storia personale, dall’esperienza e dalla cultura in cui viviamo. Comportamenti, doveri, responsabilità e aspettative connessi alla condizione maschile e femminile, trasmessi dalla famiglia, dalla scuola e dai media.

Il genere segnala un sistema di ruoli e di relazioni fra donne e uomini storicamente determinati dal contesto sociale, culturale, politico ed economico. «Sono le persone stesse a costruirsi come maschili e femminili: ogni giorno nel modo in cui ci comportiamo, noi reclamiamo il nostro posto nell’ordine di genere, oppure reagiamo al posto che in quell’ordine ci viene riservato»[1].

Ridefinire gli equilibri relazionali e di potere tra i sessi diviene così una sfida che la professoressa Katherine Watson prova a lanciare alle studentesse del collegio protagonista del film “Mona Lisa Smile”. Per queste giovani donne, che aspettano di essere edotte sulla vita matrimoniale, si prospetta un corso di storia dell’arte dalle inaspettate pennellate anticonformiste, che proverà ad offrire loro un prototipo di donna emancipata e libera da costrizioni e sterili indottrinamenti.

Perché spesso nell’affannosa corsa verso quell’immagine di sé che gli altri hanno dipinto per noi e alla quale desideriamo a tutti i costi uniformarci, perdiamo di vista i nostri connotati identitari, i nostri lineamenti più peculiari. Rincorriamo un mito della perfezione e dell’omologazione che rischia di offuscare il lato più enigmatico e misterioso della nostra personalità. Perdendo di vista l’unicità di quel sorrido che, al pari della Mona Lisa, si apre a prospettive e interpretazioni sempre nuove, a plurime e cangianti versioni di sé.

Ricordandoci sempre che le uniche persone da non deludere siamo noi stessi!

[1] Connell R.W. (2006), Questioni di genere. Bologna: Il Mulino p. 32.

I commenti sono chiusi.